‘Un animale selvaggio’ quando la natura prende il sopravvento.

La mia passione per Joël Dicker è lapalissiana, mai nascosta, sempre dichiarata. 



Dopo un periodo di stop mi sono nuovamente immersa nelle pagine di un libro e, non a caso, ho scelto ‘Un animale selvaggio’. 

Non siamo però di fronte al solito autore, il cambio di stile è sussurrato fin dalle prime pagine, non fraintendetemi, la scrittura è sempre molto fluida, ma il tono delle parole è un po’ diverso, la nota di sottofondo è più soffice, quasi leggera. 

Dicker resta Dicker anche in questo libro, le parole sono sempre rotonde e le inquadrature cinematografiche eppure qualcosa cambia.

Il ritmo è sostenuto, a tratti incalzante, la voglia di capire dove l’autore ha deciso di portarci è traino fondamentale di tutte queste 440 pagine.

Ho divorato avidamente questa storia permeata di così tanti colpi di scena da arrivare alla fine con la malinconia di non potermi più rifugiare in un mondo tutto mio anche solo per qualche ora. 

I personaggi sono patinati, strutturati e svelati piano piano. L’autore li spoglia poco a poco per dipingerne l’anima al momento opportuno. 

Il mondo in cui vivono è quello dannatamente umano in cui si annaspa alla ricerca della perfezione. Irraggiungibile anche quando pare essere un dogma.

Non sono solita dire nulla della storia in sé e non cambierò abitudini ora, come sempre parlo delle emozioni che le pagine suscitano in me.

‘Un animale selvaggio’ è un libro che parla di ossessioni, di aspettative e di apparenze. Di vita. Un libro dove i segreti diventano macigni pronti a farti annegare nel lago più blu della Svizzera. Un viaggio introspettivo nell’animo umano che sveglia sensazioni sopite.

Parole delicate che scuotono mondi perfetti.

Un libro che scorre veloce e che lascia con il fiato sospeso, fatto di continui salti temporali che Dicker incastra alla perfezione e che sono la perfetta cornice a un quadro magistralmente dipinto. 

Sarò di parte, forse sì.

Sarà anche che i luoghi descritti li conosco, che più che vederli li ho vissuti e che in questo libro ci sono momenti in cui la vita ti attraversa.

Quindi sì, per me questo libro è da leggere perché la scrittura invoglia, la trama cattura, l’autore strega, anche con uno stile che non è quello a cui ci aveva abituato.

I protagonisti, imparerete a conoscerli, sapranno riempire le pagine con personalità. 

Tra banche, gioiellerie e vita domestica una pantera si farà notare. 

Anche se non con il suo solito incedere tra le pagine, Joël Dicker ha quel modo di raccontare che ti fa solo pensare che leggere sia meraviglioso.

L’adrenalina percorre ogni capitolo, tutti molto brevi, il finale è quello che non ti aspetti, come è giusto che sia. 🙂

Quindi, ditemi, avete voglia di fare un viaggio nella ridente e patinata Ginevra passando per la costa azzurra con tappa sanremese?

Preparate il biglietto, si parte. Il viaggio vale.

‘Mille splendidi soli’, quando la lettura segna.

‘Mille splendidi soli’ è un altro viaggio, dopo ‘Il cacciatore di aquiloni’ Hosseini mi ha riportata in un mondo fatto di emozioni devastanti.

Un Afghanistan crudo, straziante pervaso da una indomita speranza. Un libro dolorosamente meraviglioso. 

L’autore ci racconta la storia di due donne che hanno diviso una vita e molto altro. Due donne profondamente diverse con un destino tristemente tracciato.

Anni drammatici che noi, lontani da quella realtà, abbiamo conosciuto dalla fredda narrazione dei telegiornali, violenza disumana che restava (e resta tuttora) sugli schermi per qualche minuto, il tempo di sconcertare, poi si cambia canale e ciao. 

Hosseini ha la capacità di dettagliare soprusi e mancanze umane con una delicatezza incredibile. 

Miriam e Laila sono fiori preziosi a cui sono stati strappati i petali, uno a uno, con movimenti arrabbiati, ruvidi, apparentemente inenarrabili. Loro due, anime innocenti, occupano queste pagine con la pienezza di una poesia.

Un libro che lascia tanto, un libro che non mi ha permesso di prendere fiato, come quando sai che stai ricevendo un dono prezioso fatto di parole sussurrate. Un libro che riporta alla dannata consapevolezza che le donne vengono ancora viste, in determinate culture, come esseri inferiori. Come se la guerra non bastasse.

Donne massacrate, spezzate, nascoste. La cosa che più colpisce è che nulla è passato. Tutto è maledettamente attuale. 

400 pagine di altalena tra rabbia, compassione, paura e tanta speranza. 

Le nostre protagoniste hanno uno spessore che scavalca le pagine e colpisce, un morso allo stomaco. Ho ammirato il coraggio di coloro a cui è stato tolto tutto e con il niente hanno vissuto una vita degna e profonda. 

Ci sono sfaccettature e riflessioni che vanno oltre il raccontato, che toccano corde delicate che fanno decisamente male. 

Vi ho lasciato qui poche parole, lo so, imperdonabile, ma credetemi, questo libro è qualcosa da interiorizzare.

Un libro che si legge con il cuore.

E voi, quanta voglia avete di sperare?

‘L’apparizione’ quando credere vuol dire tutto.

‘Il ballo delle pazze’ mi aveva commossa, in un vortice di struggimento emotivo, così non potevo non leggere il nuovo lavoro di Victoria Mas. 

‘L’apparizione’ è un libro di poche pagine e tanto soprannaturale. 

Premetto che, negli anni, mi sono più volte allontanata e riavvicinata alla religione, ora sono in una fase, oramai consolidata, che mi permette di definirmi agnostica. Quindi la lettura di questo libro non è stata, per me, poi così lineare (ma questa è un’altra storia).

La scrittura della Mas è molto morbida, soffice, delicata, eppure sa andare in profondità come una lama tagliente. 

La storia è semplicissima: la Madonna si rivela.

Uno stato di estasi pervade un paesino francese tra chi grida al miracolo e chi all’impostore. 

I personaggi sono tratteggiati in modo tale da coinvolgere il lettore, ne vedi l’essenza e ne percepisci il bisogno d’affetto.

L’autrice in questo è maestra.

Alla fine è solo questione di cuore. Di fede. La cosa più vecchia del mondo. Quella che ha scatenato guerre, quella che le scatena ancora.

Una continua lotta tra bene e male lambisce una costa popolata da animi in contrasto. 

Un libro leggero in grammi fisici e pesantissimo a livello spirituale. 

Una storia raccontata dolcemente che dissemina amaro, in bocca e nell’animo. Un amaro violento, tanto da generarmi quasi un fastidio. Una storia che ripongo nella mia personale libreria fatta di emozioni. 

E ora tocca a voi, il mare vi aspetta, sappiate che potrete vederci riflessa una luna tonda e impertinente e forse anche altro.

‘Il paziente’, quando la vita non è più tua.

Il paziente di Juan Gómez-Jurado è un libro da cui mi aspettavo adrenalina e tensione, ho avuto scosse a tratti e qualche momento di passeggiata nel bosco.

L’inizio è lento, ho faticato a ingranare, e devo ammettere che le marce non sono state così sprintose nemmeno proseguendo, se non sul finale, un giro da pole position. 

Non vorrei essere fraintesa, è molto ben scritto e fila ma fila in un modo un po’ artificioso e surreale, che ci sta anche, data la trama, ma che allontana il lettore, o forse solo me.

Il nostro neurochirurgo, che non è Derek (scusate non ho resistito), ha un’etica profonda che, in un attimo, si disintegra. Quando ti tolgono ciò a cui tieni di più sei disposto a tutto e le prospettive cambiano, radicalmente. 

E fin qui tutto torna.

I personaggi non mi sono arrivati granché, ahimè, nemmeno quelli che avrebbero dovuto, nella mia immaginazione, squarciarmi il cuore.

I servizi segreti mi sono apparsi meno segreti del previsto, gli avvenimenti sono arrivati sulle pagine un po’ troppo telefonati.

Insomma non ciò che pensavo mi avrebbe fatto palpitare ma in ogni caso un thriller piacevole e strutturato. Forse troppo narrato e con un filotto di similitudini che tanto rendono quanto appiattiscono. 

Una storia di testa e cuore, dove la testa litiga con tutto ciò che il cuore urla.

Dove bene e male si fondono, permeando anime elette macchiate di pece. 

Un libro che ho letto a singhiozzo stante l’adrenalina intermittente. 

Una storia che è stata una passeggiata nel bosco in silenzio ad ascoltare l’ingranaggio del mio cervello che razionalizzava troppo per godere del momento. 

Il finale però vale la lettura. Peccato non aver avuto questa sferzata di energia qualche centinaio di pagine prima.

Un thriller per chi ha voglia di qualcosa di pensato che non rapisce ma accompagna. 

E voi? Quanta voglia avete di vedere come è facile tenere in mano la vita di qualcuno?

Trama: super 5 stelle.

Personaggi: lontani lontani 2 stelle e 1/2.

Ansia: altalenante 3 stelle.

Scrittura: godibile 4 stelle e 1/2.

Finale: il libro è lì, 5 stelle.

‘Memorie di Adriano’ parole da ricordare.

Memorie di Adriano è un libro speciale.

Quello che banalmente si definisce un capolavoro, un regalo della letteratura, un testo indimenticabile di una scrittrice capace non solo di raccontare ma di permettere al lettore di sentire una storia sottopelle.

E no, nessuno di noi è stato o è un imperatore romano, eppure Adriano è parte di qualcosa di così concreto e allo stesso tempo poetico, da far parte, in qualche modo, di ognuno di noi. 

Una lettera lunga una vita, un racconto epistolare di un uomo acuto, profondo, illuminato, forte e pieno di dubbi. Delicato e impegnato. Attento e premuroso. Moderno.

Amante dell’arte e della poesia, intimamente ‘greco’, nell’anima, quanto poco romano, sagace e spinto da una profonda voglia di pace, in terra e nell’intimo. Una missione pressoché impossibile.

Un uomo prima di essere un imperatore. 
Un essere umano e, come tale, tenero e mortale.

Un libro che racconta e fa pensare, che si gusta come una poesia dedicata. In silenzio, con calma.

Una storia dove non si deve capire chi ha fatto cosa, chi ucciderà chi, dove si nasconde l’arcano.

Una storia dettata da una mano magistrale che ci porta così lontano da chiederci come possa essere tutto così attuale. Istruzione, politica, amore. Una vita vissuta.

Come se il tempo non fosse passato. Come se il cuore fosse lo stesso.

Perché questa storia, raccontata in prima persona, senza alcun dialogo, senza scambi, è uno di quei libri da tenere a portata di mano, uno di quei testi che prima o poi si sentirà il bisogno di riafferrare, con vigore, per trarne insegnamenti, o solo consapevolezza. Per gioire di pensieri strutturati decantati con potente maestria.

Adriano si mette a nudo donandoci spunti di riflessione e saggezza, come se fosse un confidente, un amico, un uomo normale.

Marguerite Yourcenar ha messo su carta (ok, per me su Kobo) un testo che non passerà mai di moda, una storia che, se si ama leggere, si avrà sempre voglia di ripercorrere per il semplice piacere di perdersi in una lettura dal sapore inconfondibile. 
Un balsamo fatto di parole rotonde e piene che sanno placare anime in cerca di risposte o forse solo affamate di domande.

E voi, cosa state aspettando? Adriano ha una storia da raccontarvi.

Mettetevi comodi e gustatevelo, altro che stelle, qui siamo oltre.

‘Il cacciatore di aquiloni’ quando i capolavori hanno un nome.

Ci sono libri che vanno letti perché sanno lasciare qualcosa di indelebile nell’anima di ognuno. 

Il cacciatore di aquiloni è uno di questi. 

Presente nella mia lista dei libri da leggere da circa vent’anni, mi sono sentita pronta.

Un libro che è un viaggio. Un viaggio lontano, in terre che sono abituata a vedere in televisione, martoriate dalla guerra, intrise di sangue e religione, fatte di morte eppure estremamente vive.

Due ragazzini, Amir e Hassan, due anime così diverse da essere una sola. 

Un’amicizia viscerale, devota, a tratti ossessiva, pura e innocente in un mondo che di innocente, a un certo punto, non avrà più nulla.

Un libro che commuove dalla prima pagina, che cresce di intensità a ogni parola. Deliziosamente straziante.

Un libro che ha segnato l’ascesa di uno scrittore che ha saputo mettere su carta profumi e colori di un intero popolo. O di quello che ne resta.

Hosseini ha saputo raccontare con umanità qualcosa che va oltre il terreno.

Un sentimento pulito, un viso tondo, un’anima bella e quello che ne è derivato.

Una guerra disumana che ha spezzato corpi e città.

Una storia che mi ha segnata profondamente e a cui sono grata, che certe emozioni sono regali, anche quando il dolore diventa vivo e ineluttabile. 

Un libro che volevo leggere, che ero pronta ad accogliere, un libro che mi farà guardare il cielo con occhi diversi, alla ricerca di un aquilone a cui saprò dare un nome.

Un libro che parla di amicizia, amore, devozione e perdono. Una storia di redenzione.

Grazie Khaled Hosseini per avermi portata a Kabul, per avermi mostrato cose che non avrei potuto immaginare e per avermi riportata a casa con qualcosa in più. Un dono all’anima. 

E voi? Pronti a immergervi in una storia che vi resterà addosso? 

E la vostra lista di libri da leggere assolutamente? Vi va di dirmi qualche titolo? Sono curiosa 🙂

‘A cena con l’assassino’, io sono a dieta.

A cena con l’assassino è un libro che mi ha convinta a metà. Forse un terzo. Forse meno.

Su Kobo sono 570 pagine e vi assicuro che se non fosse per il mio vizio di voler finire ciò che inizio lo avrei abbandonato presto. Forse troppo.

Quindi ben venga la mia ostinazione, che qualcosa, di questa lettura, non mi è dispiaciuto. 

Le prime pagine sono lente, talmente descrittive da portare con sé una noia visiva e fisica.

I personaggi, uno in particolare, è talmente antipatico che pare esasperato e finto (bastano poche righe per capire di chi io stia parlando). Il troppo non è mai un bene. In nessuna circostanza. La protagonista, Lily, è dolce e apparentemente indifesa. Ci si appassiona se si empatizza ma qui è tutto forzato.

La scrittura, per me, è pesante, troppo ricca di dettagli da svuotare l’immaginazione del lettore. Non sentivo, vedevo, ma vedevo tipo lista della spesa. Pathos non pervenuto. 

La trama, teoricamente affascinante, resta sospesa, spenta dai dialoghi quasi pomposi, artefatti. E tutti con lo stesso tono. Insomma no, non è una lettura che mi ha lasciato granché. Anche perché, diciamolo, si arriva (e abbastanza presto) a un punto in cui succede qualcosa e le reazioni sono inverosimili. E i dialoghi affettati. Che va bene essere impavidi ma qui si rasenta l’assurdo. 

Mi spiace ma non posso scrivere ciò che non penso. E mi sento terribilmente in colpa.

Ne ho letto recensioni estatiche, rimandi alla Signora del giallo, con gli enigmi tra le pagine, la smania di scoprire, eppure mi è sembrato tutto posticcio. Non ho trovato slanci, non ero incuriosita dalla vicenda, non mi ha stuzzicato nemmeno l’idea di risolvere i giochi all’interno delle pagine. Nessun trasporto, passione, nessuna visione talmente dannata da apparire celestiale.

Per me tutto piatto, forse avevo l’anima in vacanza, forse non ero nel momento giusto, forse semplicemente a me non è piaciuto perché i gusti sono gusti e i miei sono definiti anche se in continua evoluzione. 

Insomma, un libro che si legge ma che va. Addio.

Il sangue arriva, il non detto è evidente, l’intreccio c’è, ma il modo in cui mi è arrivato il tutto è destrutturato. Pezzi qui e là talmente telefonati da rendere la vicenda un copione.

Non che sia scontato, non lo è affatto, è accompagnato, talmente accompagnato da decidere, per me, di non voler arrivare alla fine.

Un libro che vi esorto proprio a leggere, ho bisogno di capire perché io ne sia rimasta così lontana. Le premesse c’erano tutte, perché mi piacesse, e invece no.

E voi? Avete impegni per i prossimi dodici giorni?

P.s. non ho più usato le stelline per mera dimenticanza, stavolta le evito scientemente. 

‘La lista degli ospiti’, quando l’invito è tutto.

Wow.
Ecco cosa posso dire di questo libro.



La lista degli ospiti è un libro che vibra, con un crescendo potentissimo. 

La storia è lineare, un matrimonio e tanti punti di vista, quanti sono i nostri protagonisti.
Perché ognuno ci racconterà sè e ciò che vive, ha vissuto, ha sperato o solo sognato.

Capitoli brevi che diventano brevissimi sul finire.
Un ritmo incalzante, un battito cardiaco che aumenta fino a sentire il cuore in gola.

L’autrice ha una scrittura diretta, sincera, i personaggi arrivano per quello che sono, nonostante quello che mostrano.

Una coppia così bella da sembrare finta, una damigella delicata, un testimone ingombrante, una wedding planner invisibile, una donna piena di aspettative. 
Imparerete a conoscere ognuno di loro, così bene da leggergli l’anima. 
Attenzione alle conseguenze.
Potreste decidere di odiare qualcuno al punto di uccidere. 
Ops.

Un thriller che ha tutto ciò che si può desiderare. 

Un libro da leggere al buio, in una notte di vento fortissimo. 

Una storia che svelerà tutto al momento opportuno, qualcosa si intuisce, piccole briciole lasciate qua e là a mero consumo del lettore, ed è inebriante il momento in cui tutto si rivela.
Una scossa adrenalinica.

Lucy Foley ha scritto qualcosa da leggere. Assolutamente. 🙂

Che belli i libri che ti assorbono, in cui ti perdi, anche se sei circondato dal fango di una torbiera, su un’isola abbandonata dai vivi e abitata dai morti, con persone che sono un mix tra Bear Grylls e Beverly Hills 90210, belli, fatti, tanta apparenza. E poi? Chissà. 

E voi, siete pronti all’evento mondano dell’anno?

L’invito è arrivato.

‘Teddy’ quando i disegni urlano.

Avete presente i libri che si divorano? Che si iniziano e vanno finiti? Che non puoi nemmeno pensare di chiudere, spegnere o posare perché la curiosità ti mangia viva? 

Ecco, Teddy è uno di questi.

Su Kobo sono 500 pagine, eppure volano, dotate di ali angeliche o demoniache. 

Un libro che è definito horror, che sembra un thriller, che mi è decisamente piaciuto. 

Scorrevole, grazie ai capitoli brevi, permeato di un linguaggio piacevole, colloquiale, armonico. Una scrittura leggera e dei disegni bellissimi, sfogliare per credere.

I protagonisti sono definiti senza appesantirli, tutti dipinti con tratti specifici. Colori accesi, nonostante il nero.

Una storia sovrannaturale che galleggia in una dimensione parallela senza sporcarsi mai, anche se il marcio c’è e si vedrà. Non è questione di fede, di religione, di credenze, è questione di non avere preconcetti e di volersi abbandonare alla narrazione. 

Un autore che mi ha portata dove voleva andassi, con i suoi tempi, che mi ha permesso di capire quello che era giusto capissi, con i miei tempi. 

La vicenda è tutto tranne che un carnevale di Rio. Mallory ha sofferto e soffre, e mi ha fatto tanta tenerezza in queste pagine. Perché i pregiudizi pesano e marchiano, ingiustamente indelebili agli occhi di chi non sa guadare oltre. Ci sono diversi momenti cupi che mi hanno regalato un leggero brivido lungo la colonna vertebrale, una giusta dose di adrenalina ha nutrito la mia voglia di arrivare alla fine.

Un libro che mi ha riportata alla lettura dopo un breve ma pesante periodo di stop, che mi ha fatto capire, nuovamente, che se inizio una storia avvincente non contano il sonno, la sveglia impertinente, le occhiaie, conta solo perdersi nelle pagine e vivere un’avventura. 

Un thriller che il mio scrittore del cuore (S.K. basta leggere sulla copertina) ha amato e ne comprendo il perché. 

Un thriller nero per tanti motivi eppure brillante e luminoso per altri. Che la luce c’è anche quando non si vede, ma si sente. 

Un libro pregno di percezioni sensoriali dove i colpi di scena sono degni di questo nome. Una storia da leggere. E da guardare. Con occhi attenti. 

E voi? Avete voglia di conoscere l’amica immaginaria di Teddy? Prendete foglio e matita. 

‘Tasmania’ quando in cielo c’è di più.

Paolo Giordano per me non è una novità. 

Mi ha segnata con ‘La solitudine dei numeri primi’ e completamente catturata con ‘Divorare il cielo’.

Ecco, questa è un’altra storia. 

Giordano per me ha una penna che travolge, rotonda e morbida, vivida e strutturata. Una di quelle che ti fanno capire che i libri sono un regalo meraviglioso della vita.

I suoi personaggi mi sono rimasti addosso e ne sento ancora la presenza, seppur a distanza di anni.

Tasmania è qualcosa di diverso. 

Non fraintendetemi, resta la scrittura che conosciamo ma con qualcosa di inaspettato. 

Qui non ci sono personaggi a cui affezionarsi, qui ‘il personaggio’ è l’essere umano, colui che ha voglia di cimentarsi nella lettura, colui che non ha paura di farsi domande. 

P.G., il nostro protagonista (che sia l’autore stesso non è esplicitato ma le somiglianze sono diverse), è un uomo alla soglia dei quarant’anni che attraversa una crisi, una di quelle che ti sconvolge anche se non si vede.

Famiglia, matrimonio, lavoro, amicizia, paternità, vita.

Se vi viene in mente altro probabilmente c’è. 

Una storia raccontata in prima persona in cui P.G. non ha filtri ma una parlantina loquace anche quando non dice.

Tra nuvole, scienza, bombe (e sono due, grosse e pericolose, leggere per credere, le due più famigerate del mondo, per intenderci, con nomi talmente assurdi da sembrare cartoni animati, e invece), P.G. si mette a nudo. 

Paure, confessioni, desideri, traguardi, cadute rovinose, salite e discese. 

Amicizie durature e non, segreti inconfessabili che poi si confessano sempre, figli che ci sono senza averli concepiti, parole sospese e domande senza risposta. O forse sì, basta cercare.

Un libro che scorre via in un flusso di coscienza continuo, senza soste, con una fluidità che, seppur di palo in frasca, resta e si sente.

Che se la penna la usi con maestria poco conta che sia un viaggio tra anime in balia del vento o la ricerca di qualcosa che è introspezione pura.

Quindi sì, Paolo Giordano per me non è una novità ma una piccola certezza, sa portarmi lontano anche quando si parla di crisi esistenziale. 

E voi, lo sapete che le nuvole sono molto più di quello che vediamo?