Come quando ci rifletto.

Quando mi capita di non apprezzare, capire o sentire un libro mi sento in colpa.

Mi sembra di avere qualcosa che non va.

Mi sento come difettosa, difettata, da sistemare.

Poi penso che non mi piace nemmeno la moda anni ’80 quindi tanto male non vado.

Un po’ come la musica, ci sono sonorità che ti fanno dondolare e altre che invece ti tengono ancorato a terra con la voglia di spegnere il rumore.

Ci sono autori che non mi dicono niente, che non permeano il mio animo, restano lì in superficie e basta.

Un galleggiamento noioso.

Altri invece sono un’esplosione di colori. Si insinuano nel mio io e vagano in me che nemmeno le pillole di Matrix.

Sento le parole sussurrate, urlate, anche solo pensate, sento la pelle reagire al contesto, i brividi, le lacrime. Divento un tutt’uno con i protagonisti dei romanzi che mi restano addosso e arricchiscono il mio essere.

Esploro sensazioni, tocco cuori, soffro e amo disperatamente.

Ho libri del cuore che più passa il tempo più sento miei: L’ombra del vento, Divorare il cielo, Cambiare l’acqua ai fiori, L’enigma della camera 622, Follia, per citarne solo alcuni.

E poi autori che, con tratti tutti differenti, hanno saputo donarmi piacere puro di lettura: Kerouac, Kafka, Roth, Carrisi, Perrin e molti altri.  

Tutti diversi eppure con una cosa in comune, mi hanno lasciato qualcosa che non voglio perdere mai.

Le emozioni.

Amo le voci nuove, adoro cambiare genere e tuffarmi in acque impervie. Adoro fermare il mondo e vivere quello che le pagine sanno raccontarmi.

E non serve l’ambientazione spettacolare, lo stupore a ogni costo, aiutano eh, ma basta la penna giusta, quella sinfonia che vibra con il tuo respiro e lo accompagna mentre tutto smette di esistere e le pagine prendono vita.

Quindi sì, mi sento in colpa e anche un po’ sbagliata ogni volta che qualcosa non mi piace, eppure sono grata di questo, perché amo imbattermi in capolavori letterari (per me ovvio), che sanno regalarmi esperienze uniche, indimenticabili e vivide.

Che leggere è un’esperienza pregna di significati, tutti quelli che saprai trarne.

Alla fine va bene così, come ho detto oggi, nella recensione, non è solo gusto, è anche anima. Quando i 21 grammi si fanno sentire vuol dire che le pagine hanno trovato la via.

“Puzzle”, e alla fine manca un pezzo.

Ci sono libri che fanno per te e altri no.

Questo thriller, osannato dalla critica e da tutti coloro che ne hanno scritto, non fa per me.

Mi sono annoiata tantissimo. 

La versione digitale è di 696 pagine, quella cartacea di 432, per me davvero tutto troppo esasperato. 

Troppo lungo.

Troppo tirato.

Troppo.

Mi ha ricordato un film che non mi è piaciuto, non vi dico il titolo ma il regista: Cameron Crowe, poi fate voi 🙂

Il bello della lettura è che è personale. Estremamente personale. 

Ognuno ci vede ciò che vuole. Come nei disegni. E no, non scrivo cose a caso.

Questo libro è pieno di tracce che si leggono chiaramente, ovvio l’autore fa il suo e il lettore il proprio.

Ma.

Ecco questo thriller per me è un grande ma.

Non ho avuto sussulti, palpitazioni, sospiri.

Non ho tremato, e la storia lo richiedeva, credetemi.

Eppure.

Tutto piatto. Una linea piatta in un oceano calmo.

Troppo.

Non mi sono sentita coinvolta. 

I personaggi non mi sono arrivati, inspiegabilmente. Nonostante i dettagli e le spiegazioni sono rimasti sulla carta, piattissimi.

Solito discorso, il gusto ma anche l’anima.

Ci sono cose che mi catturano e altre meno.

Una scrittura che ho trovato lontanissima da me, c’è chi dice che Dicker sia noioso e prolisso, io invece lo adoro. Franck Thilliez invece non ha saputo tenermi sveglia. E data la vicenda narrata è un bel problema. 

Una penna quasi pesante. O forse lo sono stati i miei occhi nell’affrontare le pagine.

Non ho avuto nemmeno freddo, cosa che mi capita quando mi perdo nella lettura.

Il corpo reagisce alla mente e qui, nonostante sia tutto un racconto di testa, la mia è rimasta ancorata alla realtà, la mia.

Quindi no, non è il libro per me.

E mi dispiace, quando succede penso di non aver capito, quando invece è solo che non ho sentito. 

La storia è fitta, il ritmo accelera con il numero di pagine che scorrono ma, come più volte detto, io sono rimasta mera spettatrice di una sceneggiatura che si svela troppo presto e che non mi ha coinvolta nel vortice di emozioni che invece pregustavo.

Sono rimasta a bocca asciutta.

Avete presente quando vi aspettate il piatto della vita, quello da tre stelle Michelin, e invece vi portano una minestra che sa di dado? Ok, a me piacciono sushi e McDonald’s, forse non faccio testo.😊

Insomma, non tutti gli incontri diventano amicizie.

E voi? Avete paura di scoprire cosa c’è nella vostra mente?

Trama: in teoria 4 stelle e ½.

Personaggi: impalpabili, 2 stelle.

Ansia: non pervenuta, 2 stelle.

Scrittura: non fa per me, 3 stelle.

Finale: finisce? Scherzo dai, 3 stelle e ½.

‘Perfect day’ ma anche no.

Romy Hausmann non è, per me, una scoperta, ho letto tutto ciò che ha scritto. 

I suoi primi due lavori mi hanno completamente affascinata, tanto che, nel mio immaginario, già mi vedevo innamorata anche di queste pagine. 

E invece. 

La storia è di quelle da leggere con il fiato sospeso, 10 bambine uccise, un presunto colpevole, una figlia pronta a tutto per amore di un padre devoto.

E la lettura infatti è di quelle che accelerano il battito cardiaco. Ma per il tema, non per altro. 

Sarà che leggo di notte ma ogni rumore, anche se impercettibile, mi ha devastato. Eppure non è bastato.

Le quasi 600 pagine sono pregne di aspettative ahimè disattese. 

La Hausmann mi aveva abituata troppo bene, storie talmente coinvolgenti da portarmi altrove. Lontana da tutto, al centro della storia. 

Stavolta no. 

Le pagine sono un susseguirsi di diversi punti di vista, cosa usuale per l’autrice, come lo sono i salti temporali, ma qui, l’inizio è poco chiaro.

Poi la nebbia si dipana ma la mia perplessità no.

Poco pathos, e in un thriller avvincente ne serve a iosa. 

Ann è tutto in questa storia eppure a lei non mi sono legata.

Troppo poco emozionante, e forse ha un senso così.

Un libro che mi è sembrato un palloncino sgonfio, pronto per librarsi nel cielo ma incapace di volare.

Non fraintendetemi, un thriller che si lascia leggere, che ha un suo perché, ma che non mi è sembrato alla pari con i precedenti lavori della scrittrice.

Tutto un po’ tirato, un po’ caotico, un po’ troppo poco Hausmann. 

Storia, ripeto, spaventosa a sufficienza per tenere viva l’attenzione del lettore ma non abbastanza per catturarlo.

Una Berlino che poteva dare di più, anche questa accennata e non sentita.

Insomma un ‘Perfect day’ non proprio perfect.

E voi, pronti per i nastri rossi?

Trama: inquietante, 4 stelle.

Personaggi: ‘molli’, 3 stelle.

Ansia: troppa. Stelle su stelle ma non per i motivi giusti.

Scrittura: da lei mi aspettavo di più, 3 stelle e 1/2.

Finale: mh, 3 stelle e 1/2.

“I dodici segreti”, quando il passato bussa.

Robert Gold ha scritto un libro spiazzante. E io, da oggi, aggiungo una novità alla recensione, che vanno bene le parole ma le stelline aiutano. Lo so, lo fanno tutti, eppure qualcosa qui sarà diverso, arrivate alla fine per scoprire cosa. 😊

Un thriller di 637 pagine (parlo sempre della versione Kobo, ormai mi sono convertita, fatevene una ragione, io ci sto ancora lavorando).

La trama è angosciante di suo, due quattordicenni brutalmente uccisi, una tragedia dalla quale destarsi pare impossibile.

Il nostro protagonista, Ben, un giornalista d’inchiesta di quelli che non si arrendono mai, è un trentenne con un passato devastante. Le tragedie conoscono il suo indirizzo di casa e non esitano a fargli visita, con una dedizione spaventosa.

La storia, ve lo dico subito, pensavo fosse raccontata in modo molto crudo ma così non è stato. Gli omicidi sono trattati con un velo di non detto che aiuta gli impressionabili.

La scrittura è veloce, chiara e pulita. Capitoli brevi, a tratti brevissimi, aiutano la lettura.

I punti di vista sono molteplici, all’inizio mi sono trovata un po’ palleggiata, passatemi il termine. Poi tutto diventa lineare.

I segreti, dodici, sono inconfessabili.

Gold mi ha portata nel bosco e mi ha fatto sussultare per l’idea di quello che lì, tra prati e alberi, è successo. E lo ha fatto mettendomi addosso una voglia di capire prepotente.

I personaggi sono tanti, attenzione ai nomi, il dolore è uno e persistente.

Non so se l’essere genitore abbia influito nel mio viaggio tra queste pagine ma c’è stato un momento in cui mi sono sentita impotente. E lo so che è così di suo, libro sì o libro no, perché il mondo fa schifo e le insidie sono tante ma un tremito ha attraversato la mia colonna vertebrale.

Una storia che potrebbe tranquillamente apparire al telegiornale oggi stesso. Forse l’ansia nasce da lì.

Ben ha coraggio, voglia di rinascere e tanta sete di giustizia. Forse anche di vendetta, capirete perché tuffandovi di testa in questa storia. Il salto sarà spaventoso ma illuminante.

Cosa si fa per proteggersi? Cosa si fa per amore? Cosa si fa per arrivare alla verità? Leggete il libro, le risposte appariranno.

Un romanzo che mi ha fatto dormire poco per la penna dello scrittore che è stato in grado di tenermi sveglia e attenta in orari deputati al sonno.

Complimenti Mister Gold.

Un thriller che si lascia leggere in un soffio, come quello che basta per spezzare famiglie, sogni, vite.

E voi? Avete ancora qualche dubbio in merito al fatto che i segreti possano uccidere?

Pronti alle stelline? Divise per categorie… che una serie da 1 a 5 mi pareva proprio poco.

Trama: originale, 4 stelle e ½;

Personaggi: tantissimi, 3 stelle.

Ansia: per i motivi ampiamente espressi 4 stelle e 1/2.

Scrittura: pulitissima, 4 stelle e 1/2.

Finale: inaspettato, come scritto sulla copertina, 4 stelle e 1/2.

“La psicologa”, quando la terapia segna.

B.A. Paris è già nella mia libreria con due titoli.

Libri letti e piaciuti.

Ora, con ‘La psicologa’ ha preso posto anche nel mio Kobo.

Un thriller da divorare, si inizia e si finisce. 

Niente pause, solo voglia di capire. Sapere. Scoprire. 

La trama è semplice e lineare. Il lettore dovrà capire cosa non quadra.

Non so perché ma ogni tanto, tra le 565 pagine, ho pensato al tenente Colombo, non per gli outfit e nemmeno per la flemma eppure qualcosa me lo ha richiamato alla memoria, forse il fatto di provarle tutte, prima di arrivare al dunque. 

Ma non fate caso a me, ogni tanto straparlo, anche per iscritto. 

La scrittura è veloce, descrittiva quanto basta per farti vedere ciò che devi vedere e per nascondere ciò che scoprirai quando sarà il momento. 

Londra è sempre un ottimo luogo in cui addentrarsi per risolvere un omicidio. 

La casa l’ho vista, sentita e quasi respirata. Quella tachicardia ineguagliabile che sa di mistero.

Una lettura leggera e adrenalinica anche se Alice, la protagonista, in un paio di punti l’ho trovata quasi fastidiosa. Decisa, risoluta e dopo dieci righe spaventata, mi ha un po’ confusa. 

Ci sono anche dei punti che forse non mi sembrano poi così verosimili ma non inficiano la lettura. 

I personaggi sono tanti, cosa che solitamente non mi entusiasma, e così anche stavolta, nessuna eccezione. Ma è mero gusto. Mi piacciono le storie con meno nomi, mi sembra di farne parte con più facilità. 

Nel complesso un bel thriller, ritmato e avvincente. 

La Paris resta una scrittrice in cui rifugiarsi per un buon libro che allieta e occupa qualche ora.

Un thriller per chi ama i thriller, per chi non ha paura del buio e per chi ha voglia di vedere oltre quello che gli altri mostrano. 

E voi, avete in programma un trasloco? Chissà cosa nascondono quelle pareti… 🙂

“Il quaderno dell’amore perduto”, quando l’amore vola.

Chi mi legge da un po’ lo sa, Valérie Perrin e la sua Violette hanno arricchito la mia anima.

Quindi non facile per me, dopo le emozioni suscitate dalla lettura di “Cambiare l’acqua ai fiori”, avvicinarmi a un altro libro della scrittrice. E infatti ci sono arrivata con calma. Dovevo sentirmi pronta.

“Il quaderno dell’amore perduto” si legge in una notte, silenzio, solitudine e cuore aperto.

La Perrin scrive e descrive le emozioni con delicatezza e semplicità che pare una magia. E stavolta ci regala anche qualche termine esplicito e colorato che dà tono a una vicenda che sa colpire.

La storia, anche stavolta, è commovente e straziante.

Valérie Perrin ha quel tratto tragico che non pesa, che anzi nella tragedia volteggia, in un cielo che sa di sentimenti puri, in un mare che sa di rinnovamento, in un cuore che non è mai uno solo.

Le prime pagine sono un po’ lente ma non desistete, poche righe ancora e non saprete fermare la lettura.

Una città minuscola nel cuore della Francia che custodisce vite vissute e non.

La nostra protagonista è Justine. Giovanissima, con una storia drammatica, un lavoro impegnativo e un amico di letto. Una vita sempre uguale, pagina dopo pagina.

Dei nonni, un cugino “fratello” e una dolcezza disarmante. Curiosa e coraggiosa si svela poco a poco, lasciando al lettore l’illusione di aiutarla ad affrontare il suo domani.

E sullo sfondo, che sfondo non è, una casa di riposo, dove Justine lavora alacremente e con dedizione.

Lì inizia a scrivere, su un quaderno azzurro, la storia di Hélène e del suo amore disperato.

Un libro di cuore, speranza, rassegnazione, paura, dolore. Di vita e di morte, e la Perrin in questo è maestra.

Un amore nato prima della guerra, spezzato, masticato dalla vita e poi rianimato.

Un amore che sa di eterno in un mondo che sembra aver perso la memoria.

Ma non solo.

Una tragedia consumata nell’indifferenza, nel non detto, nei segreti. Un silenzio assordante che accartoccia vite e anime, che sputa verità che nessuno può accettare e, tantomeno, comprendere.

Un libro che avvolge e che mi ha portata ad avere gli occhi lucidi, con quella scrittura rotonda che sa accarezzare mentre le parole sulle pagine ti portano dove non sapevi saresti andata.

Un inno alla memoria, a non lasciar andare quello che i ricordi hanno con sé, a credere in qualcosa di più.

E un promemoria all’ascolto.

E voi, avete voglia di sentire una bella storia?

Se sì mettetevi comodi, alzate gli occhi al cielo e cercate un gabbiano. Saprà farvi strada.

‘Il caso Alaska Sanders’, quando leggere è piacere puro.

Joël Dicker, lo sapete, è e resta uno dei miei autori preferiti, non ci giro intorno, non lo nascondo, non faccio finta sia, per me, uno qualunque. Non lo è. 

Ho letto tutto ciò che ha scritto, ho amato ogni sua parola.

‘Il caso Alaska Sanders’ è parte di ciò che già sappiamo, di quel Marcus Goldman che abbiamo imparato a conoscere. Quel file rouge con Harry Quebert e con i Goldman di Baltimore che si sente per tutte le 928 pagine (sì, parlo dell’ebook). 

Citazioni, rimandi, emozioni che non impediscono a chi, invece, decide di conoscere lo scrittore con questo libro di godere della storia senza sentirsi spaesato.
Sapere il resto aiuta ma non vincola.

Dicker ha un tratto inconfondibile, semina sensazioni in ogni lettera, quelle che compongono parole che prendono vita.

Il libro scorre, inarrestabile, con quella voglia di sapere che pervade le viscere del lettore. 

I personaggi sono pieni, strutturati anche se mai del tutto definiti, credo che questa caratteristica li renda ancora più affascinanti, l’analisi comportamentale ed emozionale è così presente che tante cose si sentono in modo vivido eppure un velo di non detto dona quel sapore di mistero.

La storia è su piani temporali diversi ma i salti sono delicati, armonici, nessuna confusione, solo i colpi di scena che solo Dicker sa dosare con tanta maestria. 

Il caso è complesso, i personaggi arrivano nel testo con il ritmo giusto per tenere la tensione alta ma senza il colpo al cuore, con quella melodia da thriller sofisticato ed elegante.

Probabilmente se scritta da lui leggerei anche la lista della spesa ma qui è indubbio il talento nel prendere il lettore e condurlo, scena dopo scena, esattamente dove deve stare.
Nel fulcro della vicenda.

Lo sapete, nessuno spoiler, nessuna rivelazione e nemmeno il classico copia e incolla di quello che potete leggere sulla copertina, io vi dico ciò che sento, come lo sento.

Vivo così ogni libro, quelli che mi piacciono li vivo anche di più. 

Ogni passaggio ha un suo perché, Marcus si svela e si racconta, ciò che conta per lui diventa concreto.
Mancanze, sogni e tanta paura. Di cosa? Leggete e lo capirete. 

Alaska vive nelle pagine anche se, la vita, la perde già nel titolo.

Una storia fatta di piccolissimi tasselli che diventano un quadro maestoso, dannatamente umano, dove niente è come sembra.

Scorci di vita che si incastrano perfettamente mentre sullo sfondo le anime si disintegrano.

Uno di quei libri che sei felice di aver letto, per il puro piacere di esserti immerso in un mondo fatto di parole rotonde e profumate, anche se nere come la notte.

Joël Dicker è e resta un mago della penna anche se, lo confesso, io il cuore l’ho lasciato con Lev e Anastasia. (L’enigma della camera 622, storia diversa ma stesso Dicker).

E voi, quanta voglia avete di risolvere il caso Alaska Sanders? Marcus Goldman e il sergente Gahalowood vi aspettano.

E con loro tutto diventa chiaro, anche in un mondo buio fatto di così tanti segreti da perderci la testa. O la vita.

‘La ragazza di neve’, un vero incubo. (A tratti).

Ci sono libri che raccontano storie molto forti, altri che sono fatti per farti guardare in faccia le tue paure. ‘La ragazza di neve’ fa entrambe le cose ma lo fa in un modo che non mi ha convinta.

Come chiesto dall’autore nei ringraziamenti non dirò nulla che non possiate leggere nella sinossi (lo so, è ciò che faccio sempre ma non ditelo a Javier Castillo. :))

E infatti vi dirò del mio sentire, spersa in queste pagine.

I salti temporali sono tanti, oserei dire troppi, come lettrice mi sono sentita sballottata, i capitoli brevi, grande pregio perché sono un magnete per quelli successivi, in questo caso mi hanno fatta saltellare da un anno all’altro in balia del timer impazzito di una sorta di ‘Ritorno al futuro’. 

Mi è capitato di perdere il filo, anche se, avendo letto il libro in un paio di notti, la mia memoria era decisamente sul pezzo.

Tutto si sviluppa attorno alla sparizione di una bimba di tre anni. 

Un’inchiesta giornalistica, poliziesca, personale.

Un brutto sogno lungo anni.

La verità si svelerà pagina dopo pagina. 

I personaggi sono tanto descritti, si sentono poco, una parte in prima, le altre in terza, tanto mondo del giornalismo, poca empatia.

Mi sono sentita davanti a uno schermo e, benché lo abbia divorato, non mi ha coinvolta. 

Il tema trattato è sconvolgente, da genitore un vero incubo, eppure tutto in superficie. E un finale che mi è sembrato troppo veloce, come se qualcuno avesse staccato la spina del computer all’improvviso. 

Miren è la nostra protagonista indiscussa (ed è lei che parla in prima), ci sono passaggi repentini, anche del suo vissuto, che avrei apprezzato venissero approfonditi.

Un libro che cerca di trattare così tante cose, così tante emozioni, che forse le perde per strada.

Kiera Templeton è accennata, la figura dei genitori solo picchiettata con deboli pennellate, alcuni personaggi passano semplicemente. 

Insomma un libro che si legge volentieri ma che non entra, non scava. 

E l’anima, quando leggo, mi piace che venga, se non stravolta (è capitato) almeno sfiorata.

E voi, sapete che basta lasciare una mano per perdere una vita?

‘Romanzo rosa’, parole leggere e ironia sfacciata.

Complice un regalo inaspettato e graditissimo ho scoperto Kobo e ora le mie letture saranno cartacee e non. Devo ammettere che ne sono entusiasta. 

Fino a poco fa avevo rifiutato con veemenza ogni avvicinamento al mondo ebook e adesso ci sono dentro. E mi pare un universo niente male.

Il mio primo acquisto è stato ‘Romanzo rosa’, un libro del 2012 che è arrivato nella mia libreria digitale (volevo scriverlo, sì) quando era giusto ci arrivasse.

Una lettura velocissima e scanzonata. Pagine ironiche farcite, sapientemente, di luoghi comuni, prese in giro e voglia di evasione.

Il mondo dei romanzetti rosa viene ritratto come un cliché che più cliché non si può. 

Intanto chiariamo una cosa: ‘per scrivere un romanzo rosa in una settimana ci vogliono otto giorni’. Questo l’inizio ilare di una lettura che fa respirare. 

Olimpia è simpatica dalla prima all’ultima pagina, schietta, buffa ed estremamente naturale. 

Il suo Melody è pieno di scene degne di una soap ma non ditelo a Leonora Forneris, scrittrice navigata che con le sue indicazioni, regole e scorciatoie tiene un corso imperdibile. 

Le sue lezioni mi hanno costretta ad annuire e sorridere tra me e me e anche fuori di me.

Stefania Bertola ha raccontato, con un tratto spiritoso e irriverente, un mondo leggero e spesso accostato alla superficialità. E ci ha riso su.

Perché, come ho già detto più volte, per scrivere storie impregnate di leggerezza serve uno spessore strutturato e consistente. 

Il linguaggio è attuale e saporito, colloquiale, corposo proprio per quello che si porta dietro, i pregiudizi; sprizza ironia in ogni pagina.

Una di quelle letture che aiuta a lasciare fuori tanto di quello che pesa sulle spalle di una vita vera regalando qualche ora di sollievo. 

‘I Melody non lasciano niente’, ci dice l’insegnante del corso a un certo punto, eppure di queste pagine (su Kobo 348) io ricorderò la sensazione di spensieratezza. 

Olimpia e i suoi compagni di corso sono un melting pot, persone variegate, esperienze diverse, un obiettivo comune. 

Attimi frivoli, che frivoli non sono, che la lettura sa donare con estrema facilità. 

E voi, pronti a un corso intensivo di scrittura Melody? 

Armate la fantasia e accendete il computer o, più facile e immediato, leggete questo libro. 🙂

‘L’ospite’, quando il thriller è servito.

‘L’ospite’ si legge senza sosta, con quel misto di adrenalina e curiosità che pervade il corpo di chi decide di aprire la prima pagina. Un libro che diventa impossibile posare prima di averlo concluso.

Un thriller nero, buio nonostante lo sfavillante mondo che viene ritratto. 

Soldi, agio, un ‘mulino bianco’ perfettamente instagrammabile. 
E invece i segreti sono tanti, lo sporco sotto il tappeto indelebile.

Una famiglia felice, un matrimonio da tabloid, un figlio amato. E poi lei, una presenza inquietante, ambigua. Un incubo. 

Charlie e Matthew sono (apparentemente) solidi e uniti, Titus ricoperto di attenzioni. 

Un incontro in libreria confonderà le carte, gli incontri del club del libro faranno il resto.

Le voci sono due, Charlie e Rachel.
Due mondi talmente diversi da risultare incompatibili.
Lei saprà farsi notare, lui ci racconterà qualcosa di sconvolgente. 

B.P. Walter ha scritto un libro che ho divorato, pieno di misteri che vengono rivelati al momento giusto. 

Una storia angosciante nonostante sembri tutto chiaro dalla prima pagina. E invece. 
Sì, e invece è tutto da scoprire. 

Preparatevi a passeggiare per Londra in un racconto pieno di dettagli. Ho visto strade, palazzi, arredi e ho sentito quel brivido che mi ha elettrizzata, come fossi su un ottovolante, anzi, roller coaster :).

Il linguaggio è moderno, veloce, colloquiale, quello che ti fa mangiare le pagine con voracità. Per me un plus incredibile in un thriller. 

Una storia intricata che sa perfettamente quando districarsi. Tempi azzeccati, ritmo sfacciato. Suspense costante. 

Quel mix di non detto che fa tanto lettura intrigante. Imperdibile. 

I personaggi, dai tratti quasi insopportabili, hanno il loro perchè, vedrete. 
Sono pieni di sfaccettature e di spigoli che hanno la prerogativa di essere taglienti.

E la vicenda è un giro in giostra che vale la coda e il biglietto. 

E voi, cosa state aspettando? Il club del libro di Matthew vi aspetta, portate un coltello. 🙂